IL PAESE DI MARA

Data:

22 febbraio 2021

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IL PAESE DI MARA
IL PAESE DI MARA

LA STORIA DI MARA

La leggenda narra che l'antico Villaggio di Mara ebbe origine da un gigantesco pastore errante che scelse questo punto - ameno e ricco di acque, al centro di una distesa di colline - per sé e per il gregge, e lo tenne per suo resistendo agli assalti degli altri abitanti della zona.

Il toponimo Mara è di origine preromana ed è sinonimo di palude e acquitrino. Mara è un piccolo centro del Meilogu, posto su un ampio gradino trachitico, a pochi Km da Padria e Pozzomaggiore. La sua situazione geografica risponde alla latitudine 40°, 25° e alla longitudine occidentale dal meridiano di Cagliari 0°, 29°. Il paesaggio, prettamente collinoso, è solcato da valli strette, in fondo alle quali scorrono piccoli torrenti che, durante l'estate, inaridiscono notevolmente.

La vegetazione, un tempo ricca e abbondante, è costituita dalla macchia mediterranea e da qualche rado boschetto di querce. La parte settentrionale del territorio è dominata da due alture: il blocco, scosceso di affioramento vulcanico di Monte Traessu, e la cima isolata incoronata dai ruderi del Castello di Bonvehi.

Fra le due alture si trova un bacino su un rilievo più dolce, che affaccia alla Chiesa campestre di Nostra Signora di Bonu Ighinu. Vi si accede attraverso la strada (SS 292) di Padria, Villanova Monteleone, a circa 4 Km a nord di Mara, 42,6 km da Alghero. A circa 1 Km e mezzo dalla chiesa, in direzione N-E, un'antica mulattiera, oggi quasi completamente rifatta, s'inerpica sul versante nord di una collina denominata Monte Noe. Lungo il percorso si attraversano due valloni, su cui si aprono le due famose grotte: "Sa Ucca de Filiestru" e "Sa Ucca de Sa Mòlina". Al fondo valle, proprio al di sotto della prima grotta, sgorga una sorgente d'acqua freschissima e abbondante.

 

• CHIESA DI BONU IGHINU

La Chiesa di Bonu Ighinu, è senza dubbio uno dei più antichi e maggiori santuari dell'isola. Sorge presso un'antico villaggio medievale, oggi completamente distrutto, ma ampiamente citato nel Condaghe di S. Pietro di Silki. La chiesa, era governata da un rettore. Dai documenti della Diocesi di Bosa del 1341-1360 si parla della fissazione del Decimarium. Col tempo, la chiesa e il villaggio subirono sorti differenti: mentre la prima rimase sempre aperta al culto, il villaggio si spopolò lentamente. Ciò avvenne prima del 1435-36, poiché nella spartizione delle terre appartenenti alla contea di Monteleone, dopo la sconfitta dei Doria, il villaggio non è più citato. L'impianto del Santuario risalirebbe al 1600. Si tratta di una struttura complessa, formata da diversi ambienti:" la chiesa vera e propria, le Cumbessias, le Logge e alcuni "Palazzotti". Tali ambienti si popolavano soprattutto la terza domenica di settembre, quando, in occasione della festa, i pellegrini prendevano dimora nelle Cumbessias e nei palazzotti; mentre i merciaoli si riunivano nelle Logge, dove vendevano ogni tipo di mercanzia.

Nel 1797 la facciata della Chiesa, con annessa scalinata, venne ricostruita e ampliata: sembra un prezioso retablo in stile barocco, afferma l'architetto Vico Mossa, uno di quei preziosi altari lignei intagliati e dorati: "per quei piedistalli sovrapposti e decorati, per le colonne arabescate, per il frontone, unico nell'Isola, ritagliato a punte". L'interno è più semplice e sobrio: presenta la classica forma a croce latina, con navata unica e transetto con cappelle. La Copertura è a botte.

 

• IL CASTELLO DI BONVEHI

Il Castello di Bonvehi (Castello di Bonu Ighinu), è posto su un'altura strategica, visibile a grande distanza. Fu costruito probabilmente dai Doria, contemporaneamente a quellli di Monteleone e serviva come avamposto militare. Esso era infatti costituito da imponenti mura, da una torre, e da due cisterne di cui rimangono i ruderi. Alterne vicende di guerra videro la roccaforte, ora in mano agli Arborea, ora ai Doria, ed infine agli aragonesi. Nel 1435-36, il Castello assieme a quello di Monteleone, fu smantellato dagli aragonesi, aiutati nell'impresa da cavalieri provenienti soprattutto da Alghero. Uno di essi, un certo Pietro di Ferreras, in cambio dei servizi prestati al sovrano, ottenne le ville e i territori di Mara e Padria, con diritto di amplificazione e di abilitazione delle femmine alla successione del feudo.

La chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista sorge al centro del paese ed è attualemnte in fase di restauro. Secondo l'Angius, fra il 1833-1836 era governata da un rettore con l'assistenza di altri due preti, ed era compresa nella diocesi di Alghero. Nelle vicinanze dell'edificio sorgeva il cimitero del paese. L'architettura esterna presenta stili differenti. Il campanile situato su un lato dell'edificio è un bellissimo esempio di gotico aragonese, con canna ottagonale suddivisa in ripiani e cuspide nella parta alta. La facciata è in stile barocco, molto simile a quella di Bonuighinu: identica risulta la divisione e gli ordini di colonne sovrapposti.

 

• CHIESA DI SANTA CROCE

La Chiesa di Santa Croce, venne costruita nel XVII sec. D.c.; sorge nella parte più antica del centro storico di Mara. Fungeva da oratorio fra il 1833 3 il 1856, destinato al culto della "Confraternita di Santa Croce", composta da "Cunfrades e Cunsorres". 

Durante la guerra, nel 1940, la chiesa venne sconsacrata e data ai militari. Attualmente, dopo la fase di restauro, è stata riaperta al culto.

L'edificio ha pianta longitudinale e navata unica, divisa in due campate coperte con volte a crociera, con annesse due piccole cappelle laterali, coperte con volta a botte. La zona absidale, a pianta quadrata, è conclusa da una volta a crociera e contiene un'altare in pietra con colonne. Il fronte esterno, molto semplice, è caratterizzato dalla decorazione del portale in pietra calcarea di gusto rinascimentale e da una finestrella circolare. il frontone è coronato da un campanile a vela.

 

• IL MEDIOEVO

Un contributo alla conoscenza del tracciato storico di Mara relativamente al XII° e XIII° sec. D.C viene fornito dalle notizie riportate nel Condaghe di S. Pietro di Silki. Secondo tali fonti Mara faceva parte del Giudicato di Torres, ed era compresa nella Curadoria di Nurkara Nel territorio di Mara sono ancora visibili tracce di insediamenti medievali, in alcune località denominate: Santa Vittoria, Su Cumbentu, Cantones de Lado, S. Andria, S.ta Cadrina.

 

• LA DOMINAZIONE CASTIGLIANA

Nel 1479, in seguito al matrimonio fra Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia, nacque la "Corona di Spagna". A partire da quella data la Sardegna, o meglio il "Regno di Sardegna", entrava nell'orbita politica della Spagna. Tale regno restò iberico per circa 400 anni, dal 1323 al 1720. Per la prima volta in Sardegna comparve il feudalesimo.

 

• LA BARONIA DEI BONVEHI

Cancellata nel 1476 la presenza dei Doria, la Contea di Monteleone alla quale apparteneva anche Mara, fu divisa in tante parti denominate Baronie. Le ville di Padria e Mara, assegnate al nobile algherese Pietro De Ferreras, entrarono a far parte della Baronia dei Bonvehi. La casata dei Ferreras governò il territorio per 300 anni, dal 1436 al 1755.

 

• LA DOMINAZIONE SABAUDA

Nel 1718, col trattato di Londra, il Regno di Sardegna venne ceduto dagli spagnoli ai duchi di Savoia, principi di Piemonte. Dal punto di vista politico e istituzioanle non si verificarono sostanziali cambiamenti: al dominio spagnolo subentrò quello sabaudo; il feudalesimo continuò a sussistere e alla casata dei Ferreras si sostituì nel 1775 quella dei Manca e degli Amat. Gli Amat perdettero ogni privilegio solamente nel 1838, anno dell'abolizione del feudalesimo in Sardegna.

 

• LA CIVILTÀ NURAGICA

Il toponimo Mara di origine preromana è sinonimo di palude o acquitrino. Il pendio su cui sorge il paese fu certamente frequentato in epoca preistorica, come testimonia la presenza nei dintorni di numerosi nuraghi e della "Grotta di Tomasu". L'importanza archeologica della zona è stata messa in luce dal 1969 per opera del parrocco Don Loria che iniziò l'esplorazione della grotta "Sa Ucca de su Tintirriolu". Le caratteristiche molto particolari dei materiali rinvenuti, (idoletti, incisioni di figure danzanti) persuasero l'esploratore a credere che si potesse trattare di luogo di culto, per cui si poneva il problema di individuare la sede residenziale della comunità. Nel 1978, le ricerche vennero riprese ed estese alla "Grotta di Filiestru". Esse si rivelarono di estrema importanza, poiché il materiale rinvenuto attestava l'esatta successione culturale del sito, a partire dalla fase più antica del neolotico (6000 a.C.) sino al periodo nuragico (1000 a.C), un arco di tempo di oltre 5000 anni.

A "Sa Ucca de su Tintirriolu, la Bocca del pipistrello", si accede da una angusta apertura e si entra in una piccola stanza e poi un cunicolo introduce in una camera più vasta di m 20x5/6. Nel vestibolo dietro l'ingresso, che veniva chiuso con un grande masso girevole c'erano 5 stele, idoli che rappresentavano degli esseri sotterranei, gli spiriti della caverna. Da questa camera si continua per un tratto pianeggiante per avere poi un sbalzo di circa due metri e un intrico di diramazioni secondarie. Seguendo la galleria principale in mezzo alle stalattiti e stalagmiti si arriva ad un ampio salone a circa 135 metri dall'ingresso.

La grotta continua per circa 1 Km con cunicoli, strettoie e altre stanze e fra strapiombi e crepacci si sente il rumore di un torrente sotterraneo. La grotta fu verosimilmente usata come abitazione nella parte anteriore e come profonda e le caratteristiche molto particolari del materiale ritrovato (idoletti, figure danzanti incise sul vasellame di ceramica) fanno pensare che fosse un luogo prevalentemente di culto, utilizzato specialmente dagli abitanti della Grotta di Filiestru. Nella grotta si sono rilevati tre stati archeologici: quello più supericiale appartiene alla cultura MONTE CLARO, il successivo alla CULTURA DI OZIERI e quello più profondo alla CULTURA DI BONU IGHINU. Nella grotta furono trovati vari tipi di vasi e ciotole; lo strato di Bonuighinu conteneva oggetti litici (schegge di selce e ossidiana, accette, una spatola d'osso), di una decina di cm, a stile lanceolato, con il lungo manico che termina con una testa rotonda e tre fori che simulano una faccia umana; ceramiche liscie e decorate, resti ossei di animali e molluschi terrestri e marini. Il materiale rinvenuto si trova nel Museo Nazionale Archeologico G.A. Sanna di Sassari.


Alla Grotta di Filiestru, si accede deviando dalla statale 192 Padria-Alghero, seguendo la strada di penetrazione agraria che porta all'antico Santuario della Madonna di Bonu Ighinu. La grotta è a 410 m sul livello del mare ai piedi di una massiccia balza calcarea del Miocene. È abbastanza angusta: ci sono circa 60 mq di spazio abitativo per le persone e 180 di spazio utlizzabile per il ricovero del bestiame e usi marginali. A circa 30 metri dalla grotta si trova una tribù di 10-15 persone, un piccolo distaccamento di un gruppo più numeroso sparso nelle vicinanze. L'esplorazione della grotta è stata iniziata nel 1971 da Don Loria e poi fu ripresa dalla Direzione della Soprintendenza di Sassari nel 1980. Uno spessore di tre metri e mezzo di depositi all'ingresso della grotta ha rivelato il susseguirsi delle diverse culture a partire da quella più antica, la cardiale, al bronzo medio nuragico. La grotta di Filiestru fu abitata per circa 4000 anni, quattro lunghi millenni, in cui si sucedettero persone e culture e nell'ultimo periodo, quello nuragico, fu usata come luogo di sepoltura.

I reperti della Grotta di Filiestru si trovano nella sala preistorica del Museo Archeologico G.A. Sanna di Sassari. Il Neolitico sardo: cultura di Bonuighinu, il culto della Grande Madre Bassi e robusti. Così erano i cosidetti "Uomini di Bonuighinu", i nostri progenitori neolitici vissuti in Sardegna dal 3730 al 3399. Gli scavi nella "Bocca del Pipistrello" hanno permesso agli studiosi di meglio precisare il periodo di 4 secoli che rappresenta il neolitico medio sardo. In questa fase del Neolitico medio, comincia un'esplorazione più approfondita verso l'interno della Sardegna: alla ricerca di pascoli per il bestiame e delle terre fertili ricche di frutti naturali o adatte alla coltivazione dei cereali. I siti abitati finora sconosciuti sono 36: quasi il triplo rispetto ai tredici del Neolitico antico, in dodici dei quali continua la sosta di queste comunità più recenti. Queste località si trovano in prevalenza distanti dai 10 ai 30 Km dalla riva del mare e il 55% delle residenze sono ancora grotte per lo più calcaree. Per quanto riguarda il territorio compreso nell'attuale diocesi di Alghero-Bosa alla Grotta Verde e a quella di Filiestru già abitate nel Neolitico Antico si aggiungono quella di Dasterru di Alghero e di Sa Ucca de Su Tintirriolu e il riparo sotto roccia di S'Adde di Macomer.


Possiamo delineare le fattezze dell'uomo di Bonuighinu grazie ai resti scheletrici ritrovati nella grotta Rifugio di Oliena. Un uomo che oltre alla caccia, alla raccolta dei frutti naturali era ormai dedito all'allevamento del bestiame e cominciava a lavorare la terra in modo sempre più stabile producendo grano, orzo, lenticchie, fave, sulla sua tavola compaiono i pani di grano e di orzo, le focacce di farina, le minestre di legumi, il latte e i suoi derivati. Più rara la carne perché era preminente la necessità dell'allevamento. Su questa base agropastorale si delinea la nuova cultura e anche la nuova religione orientata verso il Culto della Dea-Madre. Appartengono infatti a questo periodo le statuette di pietra, una ventina, con figure femminili obese, segno di fertilità e abbondanza, propiziatrici della natura prosperosa: l'immagine della grande madre fertile. Sono alte in media sui 12 cm e rappresentano una figura in genere eretta con le mani allungate lungo i fianchi sino a toccare le cosce. Il passaggio all'economia agricola ha comportato questo culto della fertilità in cui all'esaltazione del corpo della donna dovrebbe corrispondere, in modo magico, quello della natura e viceversa. La produzione di manufatti continua ma si ha una migliore rifinitura e cominciano ad apparire oggetti, specialmente anelloni, vasi e statuette che esprimono una più elevata cultura.

Censimenti Archeologici Nonostante il territorio di Mara sia di modeste dimensioni, esso contiene numerosi Nuraghi, ben 17, dislocati in più punti. Essi sono: S'Alighentosa, Tuscanu, S.Andria, Bidisi, Cugurunti, Gerghenes, Monte Pizzinnu, Tileppere, Coladolzos, Sa Mura, Noeddos, Tomasu Cabonis, Pirasta, Sala 'e Serru, Pedra 'e Multa, Addepizzinna. Poi vi sono le Tombe dei giganti di Miriddai-Badu, gli insediamenti romani di Sa Bingia 'e Segus, Montigiu 'e Teula, S. Vittoria. Ancora, i ruderi del Castello di Bonvehi, le Chiese di Bonu Ighinu e S. Vittoria. Alcuni di essi sono ben conservati, altri in completa rovina. Si tratta di edifici a una o più torri, utilizzati a difesa dei territori e dei villaggi. In alcuni di essi si è già intervenuti con campagne di scavo, che hanno riportato alla luce resti di capanne circolari e abbondante materiale ceramico.

Il Nuraghe Tomasu è un monotorre al quale, in epoca successiva al primitivo impianto, sul lato nord-est, è stata aggiunta una seconda torre di cui si conserverebbero 6 o 7 filari. Il Villaggio si articola nella zona sud e sud-est del nuraghe, su una superficie di 2 ettari ca.

Il Nuraghe Coladolzos è un nuraghe a corridoio con pianta irregolarmente trapezia e si conservano piuttosto bene i lati nord e in parte il lato ovest. Il corridoio interno al quale si accede tramite un ingresso di m 1,30 con grande architrave, è lungo m 7 e largo m 1,120 con volta a piattabanda. L'insediamento nuragico in località "Sa Mura" consiste in un nuraghe a pianta ellittica quasi completamente distrutto. Si conservano infatti solo 2 filari di blocchi in basalto sui lati nord e sud. A sud-est del nuraghe si individuano due capanne a doppio filare.

 

• CENTRO ESPOSITIVO DELLA CIVILTÀ CONTADINA

Nel 2007 è stato inaugurato a Mara il Centro espositivo della civiltà contadina alla presenza della presidente del Parco Letterario "Grazia Deledda". Il Centro nasce nel quadro di un progetto culturale che si lega al nome della più grande scrittrice della Sardegna, premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda (Nuoro 1871- Roma 1936). Le opere della scrittrice sarda segnano l'alta consapevolezza del rapporto vitale, a volte felice, a volte tragico, tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e la terra, in una dimensione primitiva e rustica che la sensibilità di una raffinata intelligenza ha saputo restituire nella sua interezza emotiva e spirituale.

Sul legame profondo e vitale tra i romanzi e i racconti della Deledda e la civiltà contadina sono stati scritti fiumi d'inchiostro. Ciò che importa a noi in questo momento è che anche la piccola comunità contadina di Mara con l'apertura del centro di documentazione entra a far parte del parco letterario Grazia Deledda.

Bisogna essere orgogliosi di questo risultato. Non era facile, non era scontato. E vi entra proprio grazie al suo essere villaggio, appartenente - come quasi tutti i villaggi della Sardegna - alla civiltà agro-pastorale, civiltà che sopravvive ancora oggi, anche se in forme alquanto diverse da un passato non troppo lontano. Al centro espositivo si è lavorato per alcuni anni partendo dal nulla. Non esisteva una collezione privata cui fare riferimento, non un nucleo espositivo precedente, non una sede che potesse costituire il naturale insediamento di una esposizione delle tradizioni popolari e della cultura contadina. Il lavoro ha conosciuto varie fasi.  

Nella prima fase, mentre da un lato si lavorava alla conservazione e restauro della casa sede fisica del centro dall'altro si è lavorato sul filo della memoria, cercando di ricostruire il tessuto umano ed economico di una società che non esiste più, quasi del tutto assorbita e compenetrata dalla moderna società industriale e post-industriale. Si è partiti da una indagine sul campo entrando nelle case di Mara, ascoltando le testimonianze degli abitanti, registrando e mettendo insieme in una specie di percorso della memoria il valore di quelle preziose informazioni. Questa fase ha richiesto diversi mesi.

In una seconda fase si è proceduto a rielaborare tali materiali grezzi ai fini di una utilizzazione didattica all'interno del centro espositivo.

Una terza fase ha visto l'acquisizione di manufatti appartenenti al lavoro dei campi e della vita domestica della civiltà contadina. Questa fase è durata circa un anno e non può considerarsi del tutto esaurita. Sono stati acquisiti manufatti interessanti anche se umili, molti dei quali ricchi di storia e di storie. Tutti ugualmente degni di comparire nel centro espositivo. Gli oggetti non hanno subito alcun trattamento se non quello essenziale di pulizia e di conservazione. L'ultima fase, la più complessa, è consistita nella armonizzazione dei risultati dell'indagine sul campo con la schedatura e predisposizione dei manufatti, ovvero la predisposizione dell'allestimento vero e proprio, con la destinazione d'uso delle sale, la disposizione del percorso didattico con testi e fotografie e soprattutto la esposizione dei manufatti della cultura contadina. Numerose quindi le difficoltà e le ingenuità in un percorso assolutamente nuovo sia per l'Amministrazione comunale come per tutti coloro che, a vario titolo, al progetto hanno aderito e dato la loro collaborazione, a cominciare dagli abitanti di Mara e dalla loro generosità, senza la quale nulla si sarebbe potuto fare.

Il centro espositivo della cività contadina, nasce perciò da un progetto politico di coinvolgimento di alcuni centri del Logudoro nell'ambito del Parco letterario Grazia Deledda. All'interno di questo progetto politico e culturale più vasto va ricollocato il progetto di valorizzazione e salvaguardia del patrimonio storico-culturale di Mara, di cui il Centro espositivo costituisce un anello fondamentale, e che la comunità di Mara, nelle vesti del Sindaco e della sua Amministrazione, hanno fatto proprio. Nella difficile transizione di una società dal suo essere statica, chiusa, autosufficiente, essenziale nelle produzioni e nei consumi, ad una società mobile, aperta, dipendente da altre realtà più vaste e penetranti (la regione, la politica nazionale, l'Europa, la globalizzazione dei mercati, i legami di interdipendenza economica) la costituzione di un centro espositivo della civiltà contadina costituisce un piccolo baluardo contro la perdita di cultura, l'oblìo, la dimenticanza, la perdita di memoria, la cancellazione dell'identità.

È facile comprendere come un centro espositivo abbia anche il compito di rieducare alla memoria, alla identità, alla conservazione e ri-appropriazione della cultura e della sapienza dei propri padri. Si tratta di una riappropriazione simbolica del proprio territorio, del proprio essere, della madre terra, dalla quale occorre sempre ripartire se si vuole ricominciare il cammino. Gli uomini sanno di non essere eterni. Essi sfidano il tempo con la creazione di simboli, o di luoghi simbolici che, rinnovati e riconosciuti nel susseguirsi delle generazioni, resistano al tempo e alla perdita della memoria. Sono i simboli (e i luoghi che questi simboli tutelano e rinnovano) a salvare uomini e cose restituendoli ad una dimensione di vissuto quotidiano ed umano. Ma più di ogni altra cosa restituendo al dolore, alla sofferenza, alla fatica di generazioni di uomini e donne, un senso che si rischia tutti i giorni di perdere. È in fondo in questo potenziale simbolico - memoria, testimonianza, resistenza - e di significato - il senso finale del dolore e della sofferenza degli umili come metafora della condizione umana, che sta a mio avviso il valore di una operazione di memoria che è innanzitutto una operazione di civiltà, senza aggettivi.

In ogni umile segno-oggetto si ricolloca davanti ai nostri occhi il segno dell'opera e dei giorni dell'uomo restituendo un minimo di senso al quotidiano patire. Ed alla luce di questi segni possiamo dare un senso ricollegandoci idealmente all'opera quotidiana delle generazioni che ci hanno preceduto. Per costruire da qui un futuro ancorato a robuste radici.

 

• OPERE PITTORICHE

Le politiche amministrative degli ultimi anni, per il decoro urbano, hanno predisposto dei «Concorsi Murales» che hanno contribuito all’abbellimento di piazze e angoli del paese di Mara.

Tra questi, l’ultimo Murales dipinto, è stato dedicato al poeta Marese Francesco Sale.

 

• MEMORIE DI MARA

A cura della Se. A. Coop, la Cooperativa Sociale di Solidarietà  di Thiesi, alcuni racconti orali degli anziani di Mara, un testo grazie al quale si intuisce il senso del "dove si viene" e del "dove si va", poichè la memoria di sè non ha mai un patrimonio esclusivo del soggetto ma è sempre in relazione alla vita di un'intera comunità .

E' possibile trarre dalle storia di vita un sapere che tocca i confini dell'antropologia vissuta, dell tradizioni antiche, dei giochi dimenticati, dei riti che scandivano stagioni e tempi della vita quotidiana dando voce a una cultura che va scomparendo e proprio per questo preziosa.

 

• PREGHIERE

Signore meu Gesù Cristu
Signore meu Gesù Cristu Deus ti domine verdaderu creadore e redentore meu po esse bois chie sezis inifinitamente bonu sezis dignu de esser amadu subra tottu sas cosas su chi azis bos amus mi pesat Segnore de tottu su coro su bos aere offesu preponzo assistere e m'aggiuare in sa divina grascia ostra de mai mi appalto de tottu sas occasiones de non bos offender mai piusu e gai si siada. (riportata da Maria Antonia Ligios)

Per trovare le cose perdute
Santa Trinità , Santa Trinità  cando peldeidi sas giaes in missa las acciapeidi Santa usanna Santa Usanna es mama 'e Sant'Anna San'Anna es mama 'e Nostra Segnora Nostra Segnora es mama 'e deus dademi a bidere su mancamentu meu. (riportata da Cristina Mariani)

 

• MUTTOS

Muttu per una donna che ha compiuto 100 anni, dedicatole dal marito
Chentu e deghe muttos inoghe c'ada iscrittu s'amante a s'ammorada de benne sos minutos in custu circuitu as'a essere esaltada. (riportata da Cristina Mariani)

Caladiche sole cala
Caladiche sole cala Caladiche sole cala caladiche imminente inoghe c'hat meda zente chi li dolet coddu e pala caladiche sole cala. (riportata da Maria Antonia Ligios)

 

• NINNE NANNE E DURU DURU

Drommi e reposa mama no t'iada e ca tue ses piccoca no t'iat mama molta nan molta nan orfana fizza mia istimada fizza 'e su coro sese bebe a paschida 'e mese bene happas fittianu a sero e a manzanu bene happas fizza mia chi goses allegria chi tenzas paghe e gosu mare bundanziosu. (riportata da Cristina Mariani)

Duru duru durundana sas pischeddas de Ottana sas de Desulo e de solarussa abiada a chie at buscia buscia piena de inari a Calaris, a Calaris a inue andana sas accusas in beranu sas pubusas cantan cun sas pubuseddas sa idda de sa padeddas naran chi est Neoneli su mastru piccapedreri piccat in sa contonera inue iscazzan sa chera in labiolu e ramine su mazzone cando at famene bessit a si mde chiscare su massagiu andat' a arare in tempus de ettare trigu duru duru fioridu. (riportata da Giuseppina Masia)

 

• MANGIARE E DORMIRE

B&B ANTAS DI ZORZI MARISA

Via Roma, 98 - 07010 Mara (SS) - PER PRENOTAZIONI:

Tel: 079805123    Cell. 3200629949

 

BAR CAFFÉ DELLA PIAZZA

Piazza Guglielmo Marconi, 5 - 07010 Mara (SS)

Tel: 079805234

 

BAR PIZZERIA DA GERRY DI BALLONE GEROLAMO

Via Gramsci, 4 - 07010, Mara (SS)

Tel: 079 805332

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